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NEL CAMPO DI SEGALE​

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Finalmente l’ho vista. Aveva addosso quel completo che era appoggiato alla sedia la sera scorsa e per mano due borselli, due grandi borselli. Stava correndo verso di me senza accorgersi della strada trafficata che ci divideva. Era un po’ in ritardo ma l’importante era abbracciarla per l’ultima volta e ridarle i soldi di Natale che mi aveva prestato.

“Holden!” ha esclamato lei con molto fiatone, minimo aveva fatto 250 m correndo. Lei però era abbastanza atletica a quell’età, le piaceva muoversi al contrario di me che ero molto pigro e fannullone nello sport.

“Smettila di correre, siediti su questa panchina” le dissi “ma perché quelle borse, non mi serve niente per partire. Grazie comunque”.

“Holden, non fare l’egoista! Quelle sono per me. Voglio venire con te! Vero che posso?” concluse lei. Sono rimasto senza parole. Sapevo che mia sorella fosse buona, gentile, educata, generosa, affettuosa, intelligente e tutti gli aggettivi del mondo positivi che io possa utilizzare ma non immaginavo che potesse anche lasciare il “suo” tutto per venire con me. Ragazzi, sono rimasto veramente senza parole. Quasi quasi mi mettevo anche a piangere. “No Phoebe. Tu hai la scuola, la recita, la mamma e il papà, le tue amiche… non puoi lasciare tutto e tutti così. Io riesco a cavarmela da solo, come sempre, tu no” le dissi. “Non è vero. Innanzitutto io ce la faccio benissimo da sola, come quel giorno che mamma e papà non c’erano e sono stata ben cinque ore da sola, e secondo ci sei tu con me, mio fratello. Holden, non dico che voglio vivere sempre con te lontano da qui e lasciare tutto, dico solo che vorrei stare un po’ di tempo con te e se questo vuol dire andarsene per me va bene” mi ha risposto. Ragazzi, Phoebe è proprio una bella persona testarda. Mi ricordo che qualche anno fa, proprio in questi giorni, ero venuto a casa per festeggiare le vacanze di Natale e c’era ancora Allie. Phoebe e Allie si volevano molto bene, erano come gemelli con qualche anno di differenza, ma quando qualcuno dei due iniziava ad alzare la voce per urlare qualche suo pensiero l’altro diventava pazzo. Quindi sono testardi entrambi. Ecco, a Natale, loro erano abbastanza piccoli, iniziò a nevicare e Allie continuava a ripetere che la neve scendeva dalle nuvole bianche e al contrario Phoebe diceva dalle nuvole grigie, anzi nere, se esistono e via dicendo. Insomma, hanno combattuto per tutte le ferie su questo problema per me veramente superfluo e alla fine, in accordo di pace, dissero che cadeva dal cielo. Punto e fine. Comunque le parole di Phoebe mi hanno risollevato l’umore in una giornata di depressione totale, in un momento come quello non mi sarei più offerto volontario per provare la bomba atomica, proprio no, in terra c’era qualcuno che mi voleva bene. Insomma Phoebe voleva venire con me ma io non me la sentivo di prendermi la responsabilità di mia sorella, se le fosse successo qualcosa non sarei potuto vivere. Provai a convincerla ancora di lasciar stare, ma lei era più dura di una pietra, anzi si stava anche un po’ arrabbiando. Allora mi è venuta in mente un’idea. “Phoebe, facciamo così. Oggi la giornata la passiamo insieme ma poi ognuno va a dormire nel proprio letto. Ok?”. “Scusa, ma tu dove hai il tuo letto?” mi disse, e aveva ragione. “Te l’ho detto, io me ne vado, dormirò in treno, in autobus o non lo so e poi troverò un lavoro per prendermi una casetta” risposi. “Ok. Tutta la giornata, fino a mezzanotte e poi mi riaccompagni tu a casa. Dove andiamo?” urlò Phoebe, era molto entusiasta. “Non so dove andare, so che devo fare una telefonata, intanto rechiamoci verso la stazione”. Ero in vena di fare uno squillo a Jane, se avesse risposto. L’aria era gelida e le nostre mani pure. Per fortuna Phoebe aveva portato con sé due cappelli, il mio rosso da caccia, che ho indossato io, e uno abbastanza simile di color senape che ha messo lei, quindi la testa e le orecchie erano al caldo. Poi ci siamo presi per mano, come fratello maggiore e sorellina, e per quello avevo gli occhi lucidi. Non piangevo perché c’era molto freddo, ma sicuramente ero commosso. Abbiamo camminato per un po’, per fortuna sapevo la strada, eravamo già nei pressi della stazione. Io, come prima, stavo ancora cercando la suora con gli occhiali di ferro che ho incontrato al bar, anche se ero convinto di non trovarla. Poi mi è venuto in mente il Prof. Antolini che anche lui insegnava inglese come lei. Forse avevo sbagliato ad andarmene ma forse avevo ragione a difendermi, però non volevo deprimermi in un così bel e unico momento. Il bel momento svanì quando d’improvviso ha cominciato a piovere e io e Phoebe abbiamo dovuto correre nella prima cabina telefonica. Ce n’erano ben quattro occupate, a chi dovevano telefonare tutte quelle maledette persone! Comunque siamo arrivati salvi ma completamente fradici e diciamo che in una cabina telefonica in due non si sta proprio comodi. Phoebe, però, continuava a ridere, anzi, si spanciava dalle risate. Si vede che non aveva mai fatto una cosa del genere, io ormai ci sono abituato. Al primo colpo composi il numero di telefono di Jane, si vede che ero proprio in vena di sentirla. Avevo le formiche nella pancia.

“Pronto. Chi è?” ho sentito.

“Jane” dissi.

“Holden! Che sorpresa! Cha bella sorpresa”.

“Jane! Sei proprio tu? È da tanto che ti volevo chiamare ma non volevo disturbare” esclamai esaltato. “Ah sì! Raccontami! Io ho un sacco pieno di cose da dirti”.

Jane aveva sempre qualcosa da raccontarti. Quando la incontravi non rimanevi un minuto senza comunicare, era anche questo il suo bello.

“Jane, ho proprio voglia di sentire cosa mi vuoi dire ma adesso devo attaccare, non voglio spendere i soldi in chiacchere. Ti va se ci vediamo alle due alla stazione, magari facciamo una gita insieme, non so dove ma insieme. C’è anche mia sorella Phoebe. Ti saluta. Ti va allora?” le chiese. Ero troppo contento di poter chiarire la questione di Stradlater e mettermi il cuore in pace. Non è che volessi provarci con Jane, quello no. Volevo solo rivederla e parlare tra amici, come ai vecchi tempi. “È fra poco tempo e piove ma ci sto. Ho voglia di vedere te e Phoebe. Salutamela. Allora a fra poco! Ciao!” concluse Jane. Attaccai il telefono come aveva fatto lei. Avete presente la scimmia coi cuoricini sugli occhi che c’è nella via di New York piena di murali? Ecco, in quei secondi ero proprio così. Come se il tempo si fosse fermato. A riportarmi nella realtà è stata Phoebe dicendomi “Guarda! Non piove più! Se ci muoviamo velocemente riusciamo ad arrivare alla stazione prima che piova”. Non avevo voglia di spostarmi dalla posizione pacifica nella quale ero ma in realtà aveva ragione. Abbiamo corso fino agli armadietti nei quali avevo riposto le valigie e abbiamo messo i due borselli di Phoebe dentro al mio box, tanto per una breve gita ci servivano soltanto i soldi. Poi aspettammo Jane, ormai erano già le due meno un quarto quindi mancava poco tempo. Mentre guardavo l’orologio non pensavo agli errori che avevo fatto in quei giorni, pensavo solo a Phoebe, e al suo inimitabile senso della consapevolezza, e a Jane. Jane era per me un’amica, forse di più e forse l’unica. In quel momento mi demoralizzai. Con tutte le scuole che avevo girato, non avevo trovato neanche un amico. Forse, come diceva il Prof Antolini, le misure della mia testa erano troppo diverse dalle altre per potermi adattare. Avevo bisogno di persone come Jane, giusta e sbagliata al punto giusto. Vidi arrivare Jane e le corsi incontro. Il mio piccolo desiderio si era realizzato. “Holden! Phoebe!”. “Jane!”. La bomba era esplosa e per fortuna non quella atomica. Ragazzi, era tutto perfetto. A parte la treccia che Jane aveva sul lato, le erano cresciuti un po’ i capelli e si era fatta una lunga treccia sul lato destro ma a me non colpiva molto. Il fisico però non era cambiato, era solo un po’ cresciuta. Ragazzi, non ho resistito a non darle un bacio, lei però mi ha assecondato e me l’ha restituito. Poi disse “Dobbiamo muoverci, ho comprato tre biglietti per un treno e se non corriamo lo perdiamo”. “Dove andiamo?” chiese Phoebe, la stessa domanda che avrei fatto io. “Sorpresa. Ci andavamo io e Holden da piccoli, so che ti piacerà un sacco, fidati”. Un’altra caratteristica di Jane è che è sempre imprevedibile, ogni volta, non sai mai cosa aspettarti. Le formiche nello stomaco erano tornate e avevo anche molta fame, a dire il vero. Io non dissi una parola. Ragazzi, neanche una. Abbiamo corso come la luce e infatti il treno non l’abbiamo perso. Era un bel treno. Ho visto dalla mano di Jane che possedeva più di cinque dollari, immagino che fossero i suoi risparmi. Seduti nella nostra carrozza, Jane ci disse che ci avremmo impiegato circa quindici minuti ad arrivare nel posto segreto, che poi sono stati poco più di dieci. Per tutto il viaggio Jane guardava me e io guardavo lei. Neanche una parola, solo sguardi. “Ma è vero che ti sei vista con Stradlater, il mio compagno di stanza” chiesi solo questo. “Quello che si credeva il più bello e intelligente della scuola che alla fine mi ha portata in una lurida e orrenda macchina? Sì, ero io. Tranquillo non è successo un fico secco. Troppo vanitoso per i miei gusti, sono andata a casa abbastanza presto.” Ah, ragazzi, le formiche erano ancora più accanite ma è come se fossi diventato più leggero dopo quella notizia. I suoi occhi si erano come riempiti di azzurro cielo che ho avuto la sensazione di volarci dentro per tutto il viaggio. Ragazzi, che bella sensazione. Appena il treno si è fermato e noi siamo scesi, ho subito capito dove ci voleva portare Jane. Quella era la stazione nella quale ci fermavamo sempre per prendere il treno verso un posto, che non ricordo mai perché ha un nome troppo complicato, dove passavamo il giorno del ringraziamento. Sulla destra della stazione c’è una bakery eccezionale e, secondo me, era lì che voleva andare Jane. Diciamo che quella era la nostra “tana” segreta perché ogni volta che passavamo da lì prendevamo due ciambelle, io pistacchio e lei limone, e ci andavamo a nascondere sotto il salice piangente che c’è nel campo di segale dietro alla bakery. “Wow! Me lo ricordo questo posto” esclamai.  “Phoebe, a che gusto preferisci la ciambella” chiese Jane. “Pistacchio, come Holden. Grazie!”. “Jane, lascia che paghi io il cibo, tu ci ha già offerto il viaggio. Dai” conclusi io. “No. Io vi ho portati in questo posto e io vi offro le cose. Grazie, Holden.” Mi disse. Jane era proprio una donna da sposare! In pochi minuti è entrata ed è uscita dalla Bakery con le ciambelle in mano. “Vuoi una mano?” la aiutai. Il tempo si era schiarito ma c’era ancora freddo. Abbiamo corso, facendo attenzione a non fare cadere le ciambelle, e siamo arrivati al salice. Era cresciuto parecchio, si vedeva che era selvaggio. Ci siamo nascosti sotto i suoi lunghi rami e abbiamo iniziato ad assaporare le squisite ciambelle. Poche parole avevo scambiato con Jane in quei minuti o almeno poche tra quelle che le avrei voluto dire. “Sai che Holden è stato cacciato ancora da scuola?” disse Phoebe a Jane, la solita impicciona ficcanaso. “Holden, ormai non mi sorprendi più. Spero solo che sia quello che tu vuoi perché se non fosse così saresti stupido, veramente.” mi disse Jane. Devo ammettere che mi aspettavo quella risposta, anche se ci sono rimasto male ugualmente. Cosa volevo io? Volevo quello? Volevo indipendenza? Non lo so, ragazzi, non lo so. Però una cosa la so. Ho fatto alzare Phoebe e Jane molto velocemente, non c’era tempo da perdere. Entrambe, con la propria ciambella mangiata a metà, mi hanno seguito finché Phoebe non si buttò per terra. Tranquilli, lo ha fatto apposta, in quel posto c’era la morbidezza del segale perfetta. Phoebe sembrava un angioletto che mangiava la sua ciambella al pistacchio guardando il cielo. Poi ho guardato Jane. Le ho scelto la treccia ormai molle e ho visto nei suoi occhi il riflesso del cielo. Le accarezzai i capelli mossi dal vento, la guardai e la baciai. Sì, l’ho baciata. Sembrava tutto perfetto, come nei libri. “Sai Jane” le dissi “non so cosa vorrei essere. Se un disgraziato, se uno studente, se un avvocato, se uno scienziato. Però so che vorrei essere felice, come ora, avere te e Phoebe sempre al mio fianco, come ora”. Le formiche nello stomaco si erano calmate, adesso era il cuore che impazziva. “Caro Holden, tu sei la seconda cosa più dolce al mondo. Se quella di prima era una proposta di fidanzamento sappi che per me è sì” rispose. Adesso piangevo. Avevo trovato la felicità e finalmente avevo scoperto cosa fosse, anche se per poco. “Sono molto felice, Jane. Ma posso sapere cos’è la prima cosa più dolce?” le chiesi incuriosito. “È la ciambella, stupido!” esclamò e poi mi baciò.

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In quel campo di segale avevo acchiappato non solo i bambini ma anche l’amore, l’amicizia, la fratellanza e la felicità.

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Martina Bettoni

Campo di grano
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