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UNA GIORNATA SENZA FINE

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Sono ormai passati più di 30 anni dall’adozione della convenzione che per la prima volta ha riconosciuto ai bambini diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici: la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. È stata adottata nel 1989 e l’Italia l’ha ratificata il 27 maggio

1991. Da allora, ogni 20 Novembre ricorre la Giornata Mondiale dei diritti dei bambini che ha lo scopo di accendere i riflettori sulle zone del Mondo in cui questi diritti inalienabili non vengono rispettati.

Secondo me è molto importante che questa Giornata sia stata istituita: infatti, nonostante noi viviamo in una zona del Mondo in cui vediamo rispettati tutti i nostri diritti, il diritto di avere acqua e cibo, il diritto di avere una famiglia che si occupa di noi, il diritto all’istruzione, il diritto ad una casa, il diritto ad essere curati etc, non dobbiamo assolutamente mai dimenticare che esistono zone del mondo in cui invece  i bambini non sanno neppure di averli dei diritti, non hanno da mangiare, a volte non hanno una famiglia, vanno a lavorare molto piccoli, non sanno né leggere né scrivere. Il 20 Novembre non dovrebbe finire mai finché tutti i bambini del mondo non vedessero rispettati i loro diritti!! Poiché a scuola abbiamo parlato di questa Giornata, a casa ho deciso di andare a vedere due siti che mi erano stati presentati a scuola, il sito dell’Unicef e quello di Save the Children. In essi ho letto cose terribili che vivono alcuni bambini in Siria, in Indonesia, nello Yemen, in Afghanistan, nel Sud Sudan e in molti altri Paesi dove guerre, carestie, catastrofi naturali, unite alla pandemia da Coronavirus stanno uccidendo moltissime persone fra cui milioni di bambini. Fra le storie che ho letto mi ha colpito molto quella di un ragazzino poco più grande di me. Abubacar viveva nella Repubblica islamica del Gambia e dopo la morte del padre avvenuta nel 2009 la sua famiglia faceva molta fatica a sopravvivere, spesso non riuscivano a comprare il cibo e il ragazzo ha dovuto lasciare la scuola. Ad un certo punto non ce l’ha fatta più e ha deciso di partire senza dire nulla alla madre. Ha compiuto un viaggio lunghissimo durato otto mesi, ha attraversato Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, fino a raggiungere la Libia. Non aveva soldi, per procurarseli doveva lavorare, era senza documenti ma nessuno glieli ha mai chiesti, i soldi invece sì, quelli li chiedevano continuamente. Non ha portato nulla con sé perché gli avevano detto che gli avrebbero portato via tutto. Se avesse potuto avrebbe portato i suoi scarpini da calcio e la sua felpa. Una volta arrivato in Libia c’è stato quattro mesi. È stato il periodo più duro. Lì la gente veniva uccisa. Poi si è imbarcato, dopo aver raccolto i soldi, ma l’hanno catturato e messo in prigione. Da lì è scappato e si è imbarcato di nuovo e quella volta, dopo un viaggio in mare in condizioni difficilissime, è riuscito a sbarcare in Italia. Ora è ospite del centro governativo per i bambini non accompagnati di Trabia in Sicilia e da lì è riuscito a chiamare la madre. Ora spera di diventare un calciatore professionista e io gli auguro davvero di riuscirci. Abubacar ha avuto un grande coraggio, aveva solo tre anni più di me e ha fatto qualcosa che io non riesco neppure ad immaginare! Certo la situazione che viveva in Gambia doveva essere davvero terribile per costringerlo ad intraprendere un viaggio così lungo e pericoloso da solo. Lo ammiro moltissimo e spero davvero che prima o poi tutti i bambini del mondo possano godere di quei diritti di cui godo ora io che mi trovo, evidentemente, nella parte giusta del Mondo.


 

Juzhar Singh

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