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IL CLIMA CI MUOVE

Su 80 milioni di profughi, 25 milioni sono migranti climatici per via dei disastri naturali, aumento della temperatura e siccità. Le aree più colpite sono sud-est asiatico, sahel  sub-sahariano,  America  latina e alcuni arcipelaghi del pacifico. Gli esperti affermano che saranno sempre di più.  Alcuni nomi di uragani sono  Sally, Florian, Harvey, Katrina,  Irma e Dorian.  L’organizzazione mondiale scrive annualmente una lista che comprende 21 uragani. A novembre 26 nomi sono stati scritti, nel 2020 gli uragani hanno colpito maggiormente il nord-America  causando sfollati e danni molto costosi. Non causano solo danni i cicloni tropicali: siccità e incendi stanno  tormentando California, Australia, Amazonia, Asia centrale e anche la Siberia. Ci sono state anche alluvioni nel cuore dell’africa, in india e in Europa meridionale.  Le migrazioni accadono anche per colpa delle alluvioni e per la vegetazione che smette di crescere,  per i migranti  è molto difficile nel cammino trovare cibo e acqua e quando  finalmente arrivano, devono dormire in strada perché non hanno soldi per noleggiare una stanza in un hotel quindi hanno problemi ad adattarsi, hanno problemi anche a parlare, chiedere aiuto o per chiedere dove trovare un lavoro. Per parlare l’ inglese bisogna saperlo bene e per loro è un grosso ostacolo perché non riescono a capirlo bene. l’identikit del migrante ambientale lo forniscono i ricercatori del Postdam institute for climate impact research(PIK). L’analisi pubblicata su nature climate change dimostra che la migrazione climatica riguarda soprattutto paesi a medio reddito  con economia agricola. Aumento della temperatura , maggiore variabilità e violenza delle precipitazioni e disastri naturali agiscono push factor con presenza di particolari condizioni socioeconomiche e poi ci sono la desertificazioni, l’inquinamento dell’aria e l’innalzamento dei mari, che colpiranno alcune regioni geografiche più di altre. Le aree più vulnerabili si trovano in America latina e Caraibi, come in sud-est asiatico, e soprattutto nella regione del sahel e dell’africa sub-sahariana. Un fenomeno non democratico.  Sono poche le zone del pianeta da qui si fugge unicamente per il riscaldamento globale. Ad esempio gli stati insulari del pacifico. L’aggiu l’oceano  sale di 12ml all’anno e già 8 isole sono sommerse. L’acqua salata procede, contamina gli atolli che si restringono e diventano inabitabili. Aldilà di questa realtà, le migrazioni climatiche hanno sempre altre concause socioeconomiche. Chi e esposto all’impatto del cambiamento climatico non sempre migra. Il fattore ambiente influisce meno su paesi ad alto e bassissimo reddito. Perché nei paesi più poveri non si dispone delle risorse per partire, infatti migliaia di persone continuano a subire il climate change. Mentre quelli più ricchi hanno mezzi economici e ne assorbono le conseguenze. Sono invece i paesi a medio reddito la cui  attività dipende dalla stabilità del clima. Ci sono 80 milioni di sfollati in questo istante sulla terra. La maggior parte di loro ha dovuto abbandonare il luogo di nascita a causa di guerre, conflitti e carestie mentre un terzo lo ha fatto per ragioni legate a cataclismi climatici. E nel mondo più caldo che verrà queste migrazioni  non potranno che aumentare, la narrativa dei rifugiati climatici e semplicistica e in ultima analisi sbagliata. Le migrazioni indotte dal clima sono preminentemente interne e in gran parte i migranti si spostano nella loro regione verso aree meno colpite e molto spesso ritornano al luogo di provenienza per breve tempo. L'unica soluzione davvero efficace sarà stabilizzare il clima globale riducendo le emissioni sprigionati dai combustibili fossili. 
Diego Caporale
con la partecipazione di 
Francesco Bruno
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